domenica 31 agosto 2008

The arboretum in the world - 4 D.T. Fleming Arboretum

Quarto appuntamento sugli arboreti del mondo, dedicato questo mese ad un Arboretum "da favola" (vedere i due tour virtuali) iniziato da David Thomas Fleming (1881--1955) politico e uomo d'affari a settantanni nel 1951 e realizzato poi nel corso degli anni successivi, il D.T. Arboretum si trova nelle isola di Maui nell'arcipelago delle Hawaii. Un arboretum ricco di alberi rari e piante endemiche (tra i quali l'albero Alani, albero protetto perchè a rischio estinzione, che possiamo vedere nel video). Un regalo costoso e impegnativo da farsi sarebbe un bel viaggio per andare a scoprirlo. Noi ve ne facciamo uno più piccolo proponendovi  due tour virtuali.
 Gli alberi e le piante rare nel dettaglio.
Diverse foto riprese dall'alto in elicottero.
(Per vederle cliccate sul link e poi scegliete -cliccando ancora - sul formato del video.) 

Cliccando sull'immagine di David Thomas Fleming potrete entrare nel sito del D.T. Fleming Arboretum.

Galle e galli sugli alberi

Mentre son pochi quelli che sanno riconoscere le galle degli alberi ( escrescenze anomale provocate da insetti, famose quelle della quercia utilizzate per l'inchiostro da Leonardo Da Vinci. La cecidiologia, il cecidio è la galla- in latino- che deriva dal greco kekis, è una scienza, iniziata da Marcello Malpighi nel 1675, che si occupa propria di questo) è curiosa la notizia pubblicata in questi giorni dall'Ansa di galli e galline che amano trascorrere le loro giornate sugli alberi. In particolar modo su un gelso e un acacia. Usanza questa diffusa da sempre in molte culture. Il Gallus gallus domesticus che la tradizione identifica spesso come animale poco intelligente (ricordate la canzone di Cochi e Renato?) in realtà ha le idee chiare su cosa significa essere tranquilli e protetti e talvolta pertanto preferisce stare e nascondersi sugli alberi e guardare il mondo dall'alto. Ma ecco la notizia Ansa (31-08-2008):

Una quindicina fra galli e galline da anni dormono abitualmente sugli alberi, in particolare un gelso e un'acacia. Succede a Romans d'Isonzo in provincia di Gorizia. Un comportamento che non è così strano se si pensa a motivi genetici. "Anche loro sono state selezionate partendo da una specie selvatica che vive in zone di alberi per sfuggire ai predatori notturni" spiega Enrico Alleva, direttore dell' Istituto di neuroscienze comportamentali all'Istituto Superiore di Sanità di Roma e membro dell'Accademia dei Lincei. "Al tramonto sono già tutte sui rami - racconta Paolo Cimbaro, il gestore di una trattoria della cittadina - e a quanto mi ricordi l'hanno sempre fatto. Si tratta di galli e galline come se ne vedono normalmente nei cortili". Per riuscire a salire sui rami usano una vecchia scala di cemento, per poi arrampicarsi in giro nei vari 'posti' disponibili sparpagliandosi tra le fronde degli alberi. Secondo Alleva "alcune razze più di altre dimostrano come nel loro cervello sia importante per la sopravvivenza della specie, anche dopo generazioni e generazioni". E nulla toglie che magari "qualche cane e gatto abbia dato fastidio a queste galline" e abbia fatto riemergere la tendenza 'genetica' a sfuggire in alto.



martedì 26 agosto 2008


“La città Dadisé”
La Roma dei segni differenti
Rassegna di storie diverse nel Parco Madre Teresa di Calcutta - Municipio VII
2 – 7 settembre 2008

La rassegna “La città Dadisé” ideata all’interno del Parco Madre Teresa di Calcutta, è una proposta artistica nata dal coordinamento di quattro associazioni che operano nel VII Municipio e che partono dall’identità del territorio per costruire un dialogo di più ampio respiro con la città.
Partendo dal concetto del mosaico come espressione e forma in cui la nostra diversità artistica si lega, abbiamo inteso la rassegna come un luogo in cui accogliere i vari segni dell’identità, della differenza,dei confini. L’Ata, che vede come capofila l’associazione The Way to the Indies-Argilla Teatri, ha lavorato interrogando il senso del luogo, cercando di accrescere il valore e le potenzialità costituite in esso: il parco come luogo principale di attraversamento, di confronto e scambio, di sosta, collante urbano e filtro tra l’uomo e la città. La nostra idea è quella di costruire una proposta articolata in cui il parco non è soltanto luogo di eventi artistici di teatro e musica ma anche spazio di un possibile accrescimento delle relazioni in uno specifico contesto urbano, sociale, culturale, non perdendo di vista la duplice ottica della dimensione cittadina e municipale.
I contenuti artistici sono pensati per rispondere al “segno” individuato proprio nella comprensione del concetto di “esperienza culturale del territorio e valorizzazione della stessa”. Il segno sarà dunque la “diversità” intesa come diversità culturale, di espressione e di genere, ma anche diversità di aggregazioni che all’interno del progetto possono scambiarsi, integrarsi, contaminarsi. Quindi più generi e più linguaggi: musica e teatro; donne e culture, provocazioni e tradizioni, libri ed abilità di diverso genere ed arti visive capaci di fornire un percorso unitario all’interno del quale posizionare i vari elementi pronti allo scambio. Il senso è quello di realizzare nel Municipio VII un'idea diversa di fare arte basata sulla cultura popolare, sullo scambio di esperienze e sulla valorizzazione del territorio.



Sabato 6 settembre
in collaborazione con Teatro Biblioteca Quarticciolo
Via Castellaneta 10 00171 Roma tel. 0645460701

Ore 19,00

Visita agli alberi del parco per conoscerli, toccarli , odorarli, e prenderne energia ,

con Antimo Palumbo


Ore 20,00


Le Storie dei 12 alberi di Roma"


Una conferenza di Antimo Palumbo con immagini.Un viaggio tra gli alberi di Roma che parte dal Ficus ruminalis e la leggenda della fondazione di Roma per arrivare alle palme gemelle che dominano dall'alto della loro grazia e flessibilità lo skyline dei fori romani.


(Foto- collezione Giuseppe De Grisantis)



I platani di Roma di Antonio Carbone

Trovato su
un racconto di Antonio Carbone

(nato a Benevento nel 1963 laureato in Filosofia presso l’Istituto Orientale di Napoli con una tesi su Gilles Deleuze e autore di due libri : "Il seme" e "E' acqua di sole " editi dalla Cadmo Editore) con un suo video poetico scansito dal leitmotiv delle cortecce mutevoli dei platani di Roma.

Un' occasione per andarli a trovare in città , vederli da vicino e toccarli. Ce ne sono talmente tanti a Roma...

IL RACCONTO


L’arrivo dei militari, la sicurezza, la cura della città e la corteccia dei platani
Ci sono tanti modi di vigilare sulla sicurezza delle persone. Il suo è più simile al lavoro di un custode di un parco o di un giardiniere che a quello di un militare. Eppure da domani, a mano a mano che i soldati arriveranno e gli toccherà come si dice in gergo, passare le consegne, non rinuncerà a dispensare loro i suoi consigli e a spiegargli come da tempo ha organizzato il suo giro di perlustrazione. Come al solito comincia alle tre. L’ora peggiore. Quella in cui, qualsiasi città può essere più facilmente espugnabile. Parte da Piazza dei Siculi. Oggi più affollata del solito. Glielo aveva detto l’edicolante con cui condivide le stesse preoccupazioni. Gli aveva parlato con tono accorato di una famiglia di napoletani che è comparsa da poco, mamma padre e figlia… A proposito non vedo più l’avvocato? Effettivamente sono un po’ di giorni che non l’ho visto neanche io, gli ha risposto. Poi risale per via Marsala passando davanti alla Caritas. Solite figure sedute in un angolo che sembrano scontare la propria personale penitenza. Più avanti proprio nell’avvocato si imbatte che cammina parlando da solo, spingendo il suo inseparabile carrello.
Passa sul lungotevere per dare uno sguardo ai platani. E’ preoccupato per loro. Anche di questo ha in mente di relazionare ai soldati. Fate attenzione. Non bisogna essere un fitopatologo per capire che non se la passano affatto bene questi alberi. Si allunga sulla pista ciclabile, in direzione di Tor di Quinto. Dopo qualche chilometro, incrocia due poliziotti a cavallo. Tutto regolare? Si, gli dicono, tranne qualche cane randagio verso la fine. Se per questo c’erano anche le mucche, le capre i cavalli l’ultima volta che ci sono passato. Ma quelli che c’entrano. Sono innocui, anzi aiutano a tenere pulita la pista dall’erba. Si accorge di essere diventato quasi più zelante di loro, allora cambia idea e si gira. Tornando a casa, per le strade assolate, si gode un bel concerto di cicale. E si inebria del profumo degli oleandri e di quello degli aghi di pino quando passo vicino Villa Borghese. Ora che ha concluso il suo ultimo giro, può concedersi finalmente un meritato riposo. Da domani potrà persino pensare di partire per le vacanze. Tanto ci penseranno loro. I soldati. Ora che, a quanto pare, abbiamo barattato un po’ di sicurezza in più con la soluzione extragiudiziale dei problemi del nostro Presidente del Consiglio (è su questo, in soldoni, che si regge il nuovo contratto sociale in Italia) si sente di poterlo fare con maggiore tranquillità. Anche se non crede che la loro presenza possa servire a ridurre l’attività criminale. Ma questo è un altro discorso. Di questo lui ne è consapevole. Ha a che fare più con la paura percepita che con la realtà. Molto simile, da questo punto di vista, al caldo percepito di più di quanto registra il termometro, a causa dell’alta percentuale di umidità nell’aria. Ma questo, appunto, è un altro discorso, continua a ripetersi anche lui tra sé e sé.

IL VIDEO

sabato 23 agosto 2008


Gli alberi di casa di Paolo Rumiz

Riceviamo da Marco Pacchierotti questo bellissimo passaggio dalla Puntata n° 13 del viaggio-reportage di Paolo Rumiz che Repubblica sta pubblicando a puntate quotidiane, chiamato "L'Europa Verticale": un viaggio "verticale" da Nord a Sud lungo il nuovo confine che divide la UE dalle Nazioni confinanti nel quale si parla di "alberi che riportano a casa"


Paolo Rumiz

"Corriamo con gli zaini verso il bus che ha già il motore acceso, chiediamo all'autista di andare a Narva, la prima città sulla frontiera. Un posto formidabile, ci hanno detto, con una fortezza svedese e una russa di Ivan il Terribile che si fronteggiano sul fiume, e la strada che buca la frontiera attraverso le mura merlate. L'ingresso più scenografico che ci sia nella federazione stellata. "Narva?" si meraviglia il bigliettaio. "Nessuno scende a Narva. Non saprei nemmeno dire quanto farvi pagare". Dentro il bus ci sono dieci-dodici donne assopite e due bambini. I finestrini sono rigati di pioggia. "Facciamo cinquecento rubli". E si va in un cielo grigio, già protestante, berlinese, anseatico, verso le durezze ugrofinniche e le dieresi vocaliche del Centro Europa, lungo spazi piallati dal vento e dalle Blitzkrieg. Terra perfetta per generali e grandi manovre. Nella pioggia persino le chiese ortodosse perdono la forza bizantina e assumono la mistica verticalità degli abeti. All'ultimo paese russo decidiamo di scendere e proseguire a piedi. Se i due check-point sono vicini come pare, passare così è il modo migliore per evitare code. E difatti il ponte sul Narva ha una corsia per soli pedoni, i quali, sul lato estone, hanno un ingresso solo per loro. Arranchiamo da un castello all'altro, in compagnia di ciclisti e anziane donne con borse, ragazzi in blouson noir, avventurosi globe-trotter e strani tipi senza bagaglio con sigaretta accesa e mani in tasca. Il ritorno in "Europa" è superbo, il Narva di un color verde pieno spumeggia verso il Baltico, sulle torri del forte svedese urlano i gabbiani. "Passaporto, prego". La polizia estone è sussiegosa e vagamente irritante come quella slovena - i neopromossi nell'Ue sono i più zelanti nell'applicare le regole del club - ma a sorpresa, oltre il posto di controllo, la città è ancora Russia. Cerco di dire due penosi monosillabi in estone, ma i passanti sorridono, dicono "Don't understand", e così scopro che in tutta l'Estonia orientale il russo resta lingua franca, per via dei tanti ex "sovietici" rimasti sul Baltico. Sulle due sponde sento le stesse musiche slave e sotto il ponte i pescatori del lato ovest e quelli della riva est rischiano di imbrogliare le lenze se fanno lanci troppo lunghi. La luce nitida, rivierasca, porta a Lubecca e Travemunde, ma l'architettura del ponte fortificato richiama la Bosnia di Visegrad nel romanzo di Ivo Andric, "Il ponte sulla Drina". Ormai è Centro Europa. I corvi, grandi e neri, sono gli stessi delle pianure polacche e dei Balcani. Vediamo la prima cicogna, il primo tiglio, la prima quercia e il primo ippocastano. Ma mentre i segni della modernità tecnologica occidentale mi irritano, l'incontro con gli alberi di casa mi apre il cuore.

Per leggere l'articolo completo cliccate sul link seguente

http://www.repubblica.it/2008/08/speciale/altri/2008rumiz/rumiz-13/rumiz-13.html

lunedì 18 agosto 2008

Storie di 12 alberi fantastici del mondo
Giovedì 21 Agosto ore 21.00
una conferenza
di Antimo Palumbo
scrittore e storico degli alberi,
Presidente dell'Associazione Adea amici degli alberi
Letture d’estate lungo il fiume fra gli alberi
Giardini di Castel Sant’Angelo
(Spazio Incontro dopo l'ingresso principale avanti sulla destra)
Ingresso gratuito
Perché il baobab ha questo nome strano, e cosa c’entrano i chiodi di Garofano con Eugenio di Savoia e la battaglia di Zenta dell’11 Settembre del 1697 , e ancora , può il frutto di una palma essere ricercato perché assomiglia alle curve di una donna prosperosa?
I 12 Alberi
Il Ginkgo biloba
L’ albero sopravvissuto alla bomba di Hiroshima, un vero fossile vivente , (che possiamo però incontrare nei parchi nelle sue spettacolari trasformazioni autunnali) , che risale ai tempi del Giurassico e del Cretaceo , da 150 a 50 milioni di anni fa.
La Phytolacca dioica
L’albero ombù, protagonista assoluto delle Pampas e della cultura della nazione Argentina.
L’Artocarpus altilis
L’albero del pane, Sir William Bligh e l’ammutinamento del Bounty, una storia vera che risale al 1789 , dal quale sono stati tratti diversi film e tutto questo per dei piccoli alberelli.
Il Ceiba pentandra
Il Kapok, l’albero dai frutti cotonati di bambagia, un vero gigante della foresta dell’America Centrale, alto anche 40 metri di altezza: è l’albero sacro della mitologia Maya che risale a 2000 anni fa.
La Cananga odorata
Dai suoi fiori si estrae uno dei profumi più potenti e preziosi: quello che avete sentito in una fresca sera d’estate e di cui ancora non sapete cosa significhi il suo nome : l’ ylang ylang.
Il Syzygium aromanticum
I chiodi di garofano sono i suoi fiori secchi: una spezie forte e ricercata da secoli. Avete mai pensato a questo bevendo il vin brulè?
La Myristica fragrans
L'’albero della noce moscata, cosa sarebbe senza di essa la besciamella? E l’affascinante storia dell’Isola di Run barattata dagli olandesi in cambio di Manhattan.
Il Ziziphus lotus
L’albero delle giuggiole, dai frutti dolci e colorati. Sicuramente qualche volta sarete andati “in brodo di giuggiole” o qualche altra volta vi avranno detto che sembravate dei “giuggioloni”. Da oggi scoprirete il significato di queste espressioni.
L’Adansonia digitata
Il baobab, l’albero dei misteri e delle meraviglie, delle deserte e aride distese africane,dal grande tronco acquoso e dal suo essere “all’incontrario”. Da tempo è entrato nella mitologia del nostro immaginario.
Il Platanus orientalis
Il Platano : “ombra mai fu così tenera e bella” così scriveva il musicista Haendel riferendosi a quest’albero ricco di storia ed aneddoti. Un albero che possiamo incontrare tutti i i giorni. Un’occasione per imparare a conoscerlo meglio e ad amarlo .
Il Taxus baccata
Il Tasso, l’albero della morte. Leggendaria è la sua resistenza agli “attacchi della vita” : uomini- fuoco- tempeste. Può vivere anche fino a 1000 anni e in piena salute.
La Loidocea maldivica
La palma con il record del seme più grande del mondo. Seme quanto mai particolare perché assomiglia in maniera impressionante al bacino di una donna. La sua storia e la sua leggenda è un esempio del miracolo della vita.
Sulla Loidocea maldivica o Coco de mer
abbiamo trovato questo video ben fatto e interessante del musicista Francis Kuipers.
Assolutamente da vedere

venerdì 8 agosto 2008

Cartolina dall'Argentina

Amare e rispettare gli alberi
è qualcosa che non ha confini geografici
ed appartiene a tutto il mondo.
Riceviamo dal nostro Socio Marco Bersacchi
questo bellissimo contributo fotografico dalla lontana terra d'Argentina.
.

sabato 2 agosto 2008

La favola di Hermann Hesse

“Piktor’s Verwandlungen”, ovvero Le metamorfosi di Pictor- una favola d’amore” è un breve racconto scritto nel 1922 da Hermann Hesse (e dedicato alla sua seconda moglie Ruth Wenger di Carona) che vede il suo protagonista Pictor giungere in paradiso e trasformarsi successivamente in un  albero. Questa trasformazione però non lo renderà subito felice, non almeno fino a quando non arriverà da quelle parti una  fanciulla dai capelli biondi e dalla veste azzurra... A questo racconto fantastico si è ispirato Eros Ramazzotti per una sua canzone intitolata "Favola" che postiamo   nel video seguente.  



 Ecco invece la sintesi del racconto
  (trovata sul bellissimo sito fralenuvol).
" Appena giunto in paradiso Pictor si trovò dinnanzi ad un albero che era insieme uomo e donna. Pictor salutò l'albero con riverenza e chiese: "Sei tu l'albero della vita?".
Ma quando, invece dell'albero, volle rispondergli il serpente, egli si voltò e andò oltre. Era tutt'occhi, ogni cosa gli piaceva moltissimo. Sentiva chiaramente di trovarsi nella patria e alla fonte della vita. E di nuovo vide un albero, che era insieme sole e luna.
Pictor chiese: "Sei tu l'albero della vita?". Il sole annuì e sorrise. Fiori meravigliosi lo guardavano, con una moltitudine di colori e di luminosi sorrisi, con una moltitudine di occhi e di visi. Alcuni annuivano e ridevano, altri annuivano e non sorridevano: ebbri tacevano, in se stessi si perdevano, nel loro profumo si fondevano. Un fiore cantò la canzone del lillà, un fiore cantò la profonda ninna nanna azzurra. Uno dei fiori aveva grandi occhi blu, un altro gli ricordava il primo amore. Uno aveva il profumo del giardino dell'infanzia, il suo dolce profumo risuonava come la voce della mamma. Un altro, ridendo, allungò verso di lui la sua rossa lingua curva. Egli vi leccò, aveva un sapore forte e selvaggio, come di resina e di miele, ma anche come di un bacio di donna. Tra tutti questi fiori stava Pictor, pieno di struggimento e di gioia inquieta. Il suo cuore, quasi fosse una campana, batteva forte, batteva tanto; il suo desiderio ardeva verso l'ignoto, verso il magicamente prefigurato. Pictor scorse un uccello sull'erba posato e di luminosi colori ammantato, di tutti i colori il bell'uccello sembrava dotato.
Al bell'uccello variopinto egli chiese: "Uccello, dove è dunque la felicità?". "La felicità?" disse il bell'uccello e rise con il suo becco dorato, "la felicità, amico, è ovunque, sui monti e nelle valli, nei fiori e nei cristalli". Con queste parole l'uccello spensierato scosse le sue piume, allungò il collo, agitò la coda, socchiuse gli occhi, rise un'ultima volta e poi rimase seduto immobile, seduto fermo nell'erba, ed ecco: l'uccello era diventato un fiore variopinto, le piume si erano trasformate in foglie, le unghie in radici. Nella gloria dei colori, nella danza e negli splendori, l'uccello si era fatta pianta. Pictor vide questo con meraviglia. E subito il fiore-uccello cominciò a muovere le sue foglie e i suoi pistilli, già era stanco del suo essere fiore, già non aveva più radici, scuotendosi un po' si innalzò lentamente e fu una splendida farfalla, che si cullò nell'aria, senza peso, tutta di luce soffusa, splendente nel viso.
Pictor spalancò gli occhi dalla meraviglia. Ma la nuova farfalla, l'allegra variopinta farfalla-fiore-uccello, il luminoso volto colorato volò intorno a Pictor stupefatto, luccicò al sole, scese a terra lieve come un fiocco di neve, si sedette vicino ai piedi di Pictor, respirò dolcemente, tremò un poco con le ali splendenti, ed ecco, si trasformò in un cristallo colorato, da cui si irraggiava una luce rossa. Stupendamente brillava tra erbe e piante, come rintocco di campana festante, la rossa pietra preziosa. Ma la sua patria, la profondità della terra, sembrava chiamarla; subito incominciò a rimpicciolirsi e minacciò di scomparire. Allora Pictor, spinto da un anelito incontenibile, si protese verso la pietra che stava svanendo a la tirò a sé. Estasiato, immerse lo sguardo nella sua luce magica, che sembrava irraggiargli nel cuore il presentimento di una piena beatitudine. All'improvviso, strisciando sul ramo di un albero disseccato, il serpente gli sibilò nell'orecchio: 
" La pietra ti trasforma in quello che vuoi. Presto, dille il tuo desiderio, prima che sia troppo tardi!". Pictor si spaventò e temette di vedere svanire la sua fortuna. Rapido disse la parola e si trasformò in un albero. Giacché più di una volta aveva desiderato essere albero, perché gli alberi gli apparivano così pieni di pace, di forza e di dignità. Pictor divenne albero. Penetrò con le radici nella terra, si allungò verso l'alto, foglie e rami germogliarono dalle sue membra. Era molto contento. Con fibre assetate succhiò nelle fresche profondità della terra e con le sue foglie sventolò alto nell'azzurro. Insetti abitavano nella sua scorza, ai suoi piedi abitavano il porcospino e il coniglio, tra i suoi rami gli uccelli. L'albero Pictor era felice e non contava gli anni che passavano. Passarono molti anni prima che si accorgesse che la sua felicità non era perfetta. Solo lentamente imparò a guardare con occhi d'albero. Finalmente poté vedere, e divenne triste. Vide infatti che intorno a lui nel paradiso gran parte degli esseri si trasformava assai spesso, che tutto anzi
scorreva in un flusso incantato di perenni trasformazioni. Vide fiori diventare pietre preziose o volarsene via come folgoranti colibrì. Vide accanto a sé più d'un albero scomparire all'improvviso: uno si era sciolto in fonte, un altro era diventato coccodrillo, un altro ancora nuotava fresco e contento, con grande godimento, come pesce allegro guizzando, nuovi giochi in nuove forme inventando. Elefanti prendevano la veste di rocce, giraffe la forma di fiori. Lui invece, l'albero Pictor, rimaneva sempre lo stesso, non poteva più trasformarsi. Dal momento in cui capì questo, la sua felicità se ne svanì: cominciò ad invecchiare e assunse sempre più quell'aspetto stanco, serio e afflitto, che si può osservare in molti vecchi alberi. Lo si può vedere tutti i giorni anche nei cavalli, negli uccelli, negli uomini e in tutti gli esseri: quando non possiedono il dono della trasformazione, col tempo sprofondano nella tristezza e nell'abbattimento, e perdono ogni bellezza.
Un bel giorno, una fanciulla dai capelli biondi e dalla veste azzurra si perse in quella parte del paradiso. Cantando e ballando la bionda fanciulla correva tra gli alberi e prima di allora non aveva mai pensato di desiderare il dono della trasformazione. Più di una scimmia sapiente sorrise al suo passaggio, più di un cespuglio l'accarezzò lieve con le sue propaggini, più di un albero fece cadere al suo passaggio un fiore, unanoce, una mela, senza che lei vi badasse. Quando l'albero Pictor scorse la fanciulla, lo prese un grande struggimento, un desiderio di felicità come non gli era ancora mai accaduto. E allo stesso tempo si trovò preso in una profonda meditazione, perché era come se il suo stesso sangue gli gridasse :
" Ritorna in te! Ricordati in questa ora di tutta la tua vita, trovane il senso, altrimenti sarà troppo tardi e non ti sarà più data alcuna felicità". Ed egli ubbidì. Rammemorò la sua origine, i suoi anni di uomo, il suo cammino verso il paradiso, e in modo particolare quell'istante prima che si facesse albero, quell'istante meraviglioso in cui aveva avuto in mano quella pietra fatata. Allora, quando ogni trasformazione gli era aperta, la vita in lui era stata ardente come non mai! Si ricordò dell'uccello che allora aveva riso e dell'albero con la luna e il sole; lo prese il sospetto che allora avesse perso, avesse dimenticato qualcosa, e che il consiglio del serpente non era stato buono. La fanciulla udì un fruscio tra le foglie dell'albero Pictor, alzò lo sguardo e sentì, con un improvviso dolore al cuore, nuovi pensieri, nuovi desideri, nuovi sogni muoversi dentro di lei. Attratta dalla forza sconosciuta si sedette sotto l'albero. Esso le appariva solitario, solitario e triste, e in questo bello, commovente e nobile nella sua muta tristezza; era incantata dalla canzone che sussurrava lieve la sua chioma. Si appoggiò al suo tronco ruvido, sentì l'albero rabbrividire profondamente, sentì lo stesso brivido nel proprio cuore. Il suo cuore era stranamente dolente, nel cielo della sua anima scorrevano nuvole, dai suoi occhi cadevano lentamente pesanti lacrime. Cosa stava succedendo? Perché doveva soffrire così? Perché il suo cuore voleva spaccare il petto e andare a fondersi con lui, con esso, con il bel solitario?
L'albero tremò silenzioso fin nelle radici, tanto intensamente raccoglieva in sé ogni forza vitale, proteso verso la fanciulla, in un ardente desiderio di unione. Ohimé, perché si era lasciato raggirare dal serpente per essere confinato così, per sempre, solo in un albero! Oh, come era stato cieco, come era stato stolto! Davvero allora sapeva così poco, davvero allora sapeva così poco, davvero era stato così lontano dal segreto della vita? No, anche allora l'aveva oscuramente sentito e presagito, ohimé! E con dolore e profonda comprensione pensò ora all'albero che era fatto di uomo e di donna! Venne volando un uccello, rosso e verde era l'uccello, ardito e bello , mentre descriveva nel cielo un anello. La fanciulla lo vide volare, vide cadere dal suo becco qualcosa che brillò rosso come sangue, rosso come brace, e cadde tra le verdi piante, splendette di tanta familiarità tra le verdi piante, il richiamo squillante della sua rossa luce era tanto intenso, che la fanciulla si chinò e sollevò quel rossore. Ed ecco che era un cristallo, un rubino, ed intorno ad esso non vi può essere oscurità.
Non appena la fanciulla ebbe preso la pietra fatata nella sua mano bianca, immediatamente si avverò il sogno che le aveva riempito il cuore. La bella fu presa, svanì e divenne tutt'uno con l'albero, si affacciò dal suo tronco come un robusto giovane ramo che rapido si innalzò verso di lui. Ora tutto era a posto, il mondo era in ordine, solo ora era stato trovato il paradiso,
Pictor non era più un vecchio albero intristito, ora cantava forte Pictoria. Vittoria. Era trasformato. E poiché questa volta aveva raggiunto la vera, l'eterna trasformazione, perché da una metà era diventato un tutto, da quell'istante poté continuare a trasformarsi, tanto quanto voleva. Incessantemente il flusso fatato del divenire scorreva nelle sue vene, perennemente partecipava della creazione risorgente ad ogni ora.
 Divenne capriolo, divenne pesce, divenne uomo e serpente, nuvola e uccello. In ogni forma però era intero, era un "coppia", aveva in sé luna e sole, uomo e donna, scorreva come fiume gemello per le terre, stava come stella doppia in cielo."

Questa è la copertina del libro con
le illustrazioni originali dell'autore. 
Casa Editrice Nuovi Equilibri 7 Euro.