domenica 31 agosto 2008
The arboretum in the world - 4 D.T. Fleming Arboretum
Le galle degli alberi sono escrescenze anomale provocate da insetti, Il loro nome scientifico è cecidio e deriva dalla forma latinizzata cecidium. La cecidiologia è una parte della botanica che studia i cecidi da vari punti di vista (origine, struttura, fisiologia etc...) iniziata da Marcello Malpighi nel 1675. Famose sono le galle della quercia utilizzate per l'inchiostro da Leonardo Da Vinci. A questo proposito, seguendo il gioco di parole galle-galli, ci sembra curiosa la notizia pubblicata in questi giorni dall'Ansa di galli e galline che amano trascorrere le loro giornate sugli alberi. In particolar modo su un gelso e una robinia. Usanza questa diffusa da sempre in molte culture. Il Gallus gallus domesticus che la tradizione identifica spesso come animale poco intelligente (ricordate la canzone di Cochi e Renato?) in realtà ha le idee chiare su cosa significa essere tranquilli e protetti e talvolta pertanto preferisce stare e nascondersi sugli alberi e guardare il mondo dall'alto. Ma ecco la notizia Ansa (31-08-2008):
Una quindicina fra galli e galline da anni dormono abitualmente sugli alberi, in particolare un gelso e una robinia. Succede a Romans d'Isonzo in provincia di Gorizia. Un comportamento che non è così strano se si pensa a motivi genetici. "Anche loro sono state selezionate partendo da una specie selvatica che vive in zone di alberi per sfuggire ai predatori notturni" spiega Enrico Alleva, direttore dell' Istituto di neuroscienze comportamentali all'Istituto Superiore di Sanità di Roma e membro dell'Accademia dei Lincei. "Al tramonto sono già tutte sui rami - racconta Paolo Cimbaro, il gestore di una trattoria della cittadina - e a quanto mi ricordi l'hanno sempre fatto. Si tratta di galli e galline come se ne vedono normalmente nei cortili". Per riuscire a salire sui rami usano una vecchia scala di cemento, per poi arrampicarsi in giro nei vari 'posti' disponibili sparpagliandosi tra le fronde degli alberi. Secondo Alleva "alcune razze più di altre dimostrano come nel loro cervello sia importante per la sopravvivenza della specie, anche dopo generazioni e generazioni". E nulla toglie che magari "qualche cane e gatto abbia dato fastidio a queste galline" e abbia fatto riemergere la tendenza 'genetica' a sfuggire in alto.
martedì 26 agosto 2008
La Roma dei segni differenti
Rassegna di storie diverse nel Parco Madre Teresa di Calcutta - Municipio VII
2 – 7 settembre 2008
Partendo dal concetto del mosaico come espressione e forma in cui la nostra diversità artistica si lega, abbiamo inteso la rassegna come un luogo in cui accogliere i vari segni dell’identità, della differenza, dei confini. L’Ata, che vede come capofila l’associazione The Way to the Indies -Argilla Teatri, ha lavorato interrogando il senso del luogo, cercando di accrescere il valore e le potenzialità costituite in esso: il parco come luogo principale di attraversamento, di confronto e scambio, di sosta, collante urbano e filtro tra l’uomo e la città. La nostra idea è quella di costruire una proposta articolata in cui il parco non è soltanto luogo di eventi artistici di teatro e musica ma anche spazio di un possibile accrescimento delle relazioni in uno specifico contesto urbano, sociale, culturale, non perdendo di vista la duplice ottica della dimensione cittadina e municipale.
I contenuti artistici sono pensati per rispondere al “segno” individuato proprio nella comprensione del concetto di “esperienza culturale del territorio e valorizzazione della stessa”. Il segno sarà dunque la “diversità” intesa come diversità culturale, di espressione e di genere, ma anche diversità di aggregazioni che all’interno del progetto possono scambiarsi, integrarsi, contaminarsi. Quindi più generi e più linguaggi: musica e teatro; donne e culture, provocazioni e tradizioni, libri ed abilità di diverso genere ed arti visive capaci di fornire un percorso unitario all’interno del quale posizionare i vari elementi pronti allo scambio. Il senso è quello di realizzare nel Municipio VII un'idea diversa di fare arte basata sulla cultura popolare, sullo scambio di esperienze e sulla valorizzazione del territorio.
Ore 20,00
“Le Storie dei 12 alberi di Roma"
Una conferenza di Antimo Palumbo con immagini. Un viaggio tra gli alberi di Roma che parte dal Ficus ruminalis e la leggenda della fondazione di Roma per arrivare alle palme gemelle che dominano dall'alto della loro grazia e flessibilità lo skyline dei fori romani.
sabato 23 agosto 2008
Riceviamo da Marco Pacchierotti questo bellissimo passaggio dalla Puntata n° 13 del viaggio-reportage di Paolo Rumiz che Repubblica sta pubblicando a puntate quotidiane, chiamato "L'Europa Verticale": un viaggio "verticale" da Nord a Sud lungo il nuovo confine che divide la UE dalle Nazioni confinanti nel quale si parla di "alberi che riportano a casa"
Paolo Rumiz
Per leggere l'articolo completo cliccate sul link seguente
http://www.repubblica.it/2008/08/speciale/altri/2008rumiz/rumiz-13/rumiz-13.html
lunedì 18 agosto 2008
Giardini di Castel Sant’Angelo
venerdì 8 agosto 2008
Cartolina dall'Argentina
sabato 2 agosto 2008
La favola di Hermann Hesse
Ma quando, invece dell'albero, volle rispondergli il serpente, egli si voltò e andò oltre. Era tutt'occhi, ogni cosa gli piaceva moltissimo. Sentiva chiaramente di trovarsi nella patria e alla fonte della vita. E di nuovo vide un albero, che era insieme sole e luna.
Pictor chiese: "Sei tu l'albero della vita?". Il sole annuì e sorrise. Fiori meravigliosi lo guardavano, con una moltitudine di colori e di luminosi sorrisi, con una moltitudine di occhi e di visi. Alcuni annuivano e ridevano, altri annuivano e non sorridevano: ebbri tacevano, in se stessi si perdevano, nel loro profumo si fondevano. Un fiore cantò la canzone del lillà, un fiore cantò la profonda ninna nanna azzurra. Uno dei fiori aveva grandi occhi blu, un altro gli ricordava il primo amore. Uno aveva il profumo del giardino dell'infanzia, il suo dolce profumo risuonava come la voce della mamma. Un altro, ridendo, allungò verso di lui la sua rossa lingua curva. Egli vi leccò, aveva un sapore forte e selvaggio, come di resina e di miele, ma anche come di un bacio di donna. Tra tutti questi fiori stava Pictor, pieno di struggimento e di gioia inquieta. Il suo cuore, quasi fosse una campana, batteva forte, batteva tanto; il suo desiderio ardeva verso l'ignoto, verso il magicamente prefigurato. Pictor scorse un uccello sull'erba posato e di luminosi colori ammantato, di tutti i colori il bell'uccello sembrava dotato.
Al bell'uccello variopinto egli chiese: "Uccello, dove è dunque la felicità?". "La felicità?" disse il bell'uccello e rise con il suo becco dorato, "la felicità, amico, è ovunque, sui monti e nelle valli, nei fiori e nei cristalli". Con queste parole l'uccello spensierato scosse le sue piume, allungò il collo, agitò la coda, socchiuse gli occhi, rise un'ultima volta e poi rimase seduto immobile, seduto fermo nell'erba, ed ecco: l'uccello era diventato un fiore variopinto, le piume si erano trasformate in foglie, le unghie in radici. Nella gloria dei colori, nella danza e negli splendori, l'uccello si era fatta pianta. Pictor vide questo con meraviglia. E subito il fiore-uccello cominciò a muovere le sue foglie e i suoi pistilli, già era stanco del suo essere fiore, già non aveva più radici, scuotendosi un po' si innalzò lentamente e fu una splendida farfalla, che si cullò nell'aria, senza peso, tutta di luce soffusa, splendente nel viso.
Pictor spalancò gli occhi dalla meraviglia. Ma la nuova farfalla, l'allegra variopinta farfalla-fiore-uccello, il luminoso volto colorato volò intorno a Pictor stupefatto, luccicò al sole, scese a terra lieve come un fiocco di neve, si sedette vicino ai piedi di Pictor, respirò dolcemente, tremò un poco con le ali splendenti, ed ecco, si trasformò in un cristallo colorato, da cui si irraggiava una luce rossa. Stupendamente brillava tra erbe e piante, come rintocco di campana festante, la rossa pietra preziosa. Ma la sua patria, la profondità della terra, sembrava chiamarla; subito incominciò a rimpicciolirsi e minacciò di scomparire. Allora Pictor, spinto da un anelito incontenibile, si protese verso la pietra che stava svanendo a la tirò a sé. Estasiato, immerse lo sguardo nella sua luce magica, che sembrava irraggiargli nel cuore il presentimento di una piena beatitudine. All'improvviso, strisciando sul ramo di un albero disseccato, il serpente gli sibilò nell'orecchio:
" La pietra ti trasforma in quello che vuoi. Presto, dille il tuo desiderio, prima che sia troppo tardi!". Pictor si spaventò e temette di vedere svanire la sua fortuna. Rapido disse la parola e si trasformò in un albero. Giacché più di una volta aveva desiderato essere albero, perché gli alberi gli apparivano così pieni di pace, di forza e di dignità. Pictor divenne albero. Penetrò con le radici nella terra, si allungò verso l'alto, foglie e rami germogliarono dalle sue membra. Era molto contento. Con fibre assetate succhiò nelle fresche profondità della terra e con le sue foglie sventolò alto nell'azzurro. Insetti abitavano nella sua scorza, ai suoi piedi abitavano il porcospino e il coniglio, tra i suoi rami gli uccelli. L'albero Pictor era felice e non contava gli anni che passavano. Passarono molti anni prima che si accorgesse che la sua felicità non era perfetta. Solo lentamente imparò a guardare con occhi d'albero. Finalmente poté vedere, e divenne triste. Vide infatti che intorno a lui nel paradiso gran parte degli esseri si trasformava assai spesso, che tutto anzi
scorreva in un flusso incantato di perenni trasformazioni. Vide fiori diventare pietre preziose o volarsene via come folgoranti colibrì. Vide accanto a sé più d'un albero scomparire all'improvviso: uno si era sciolto in fonte, un altro era diventato coccodrillo, un altro ancora nuotava fresco e contento, con grande godimento, come pesce allegro guizzando, nuovi giochi in nuove forme inventando. Elefanti prendevano la veste di rocce, giraffe la forma di fiori. Lui invece, l'albero Pictor, rimaneva sempre lo stesso, non poteva più trasformarsi. Dal momento in cui capì questo, la sua felicità se ne svanì: cominciò ad invecchiare e assunse sempre più quell'aspetto stanco, serio e afflitto, che si può osservare in molti vecchi alberi. Lo si può vedere tutti i giorni anche nei cavalli, negli uccelli, negli uomini e in tutti gli esseri: quando non possiedono il dono della trasformazione, col tempo sprofondano nella tristezza e nell'abbattimento, e perdono ogni bellezza.
Un bel giorno, una fanciulla dai capelli biondi e dalla veste azzurra si perse in quella parte del paradiso. Cantando e ballando la bionda fanciulla correva tra gli alberi e prima di allora non aveva mai pensato di desiderare il dono della trasformazione. Più di una scimmia sapiente sorrise al suo passaggio, più di un cespuglio l'accarezzò lieve con le sue propaggini, più di un albero fece cadere al suo passaggio un fiore, una noce, una mela, senza che lei vi badasse. Quando l'albero Pictor scorse la fanciulla, lo prese un grande struggimento, un desiderio di felicità come non gli era ancora mai accaduto. E allo stesso tempo si trovò preso in una profonda meditazione, perché era come se il suo stesso sangue gli gridasse :
" Ritorna in te! Ricordati in questa ora di tutta la tua vita, trovane il senso, altrimenti sarà troppo tardi e non ti sarà più data alcuna felicità". Ed egli ubbidì. Rammemorò la sua origine, i suoi anni di uomo, il suo cammino verso il paradiso, e in modo particolare quell'istante prima che si facesse albero, quell'istante meraviglioso in cui aveva avuto in mano quella pietra fatata. Allora, quando ogni trasformazione gli era aperta, la vita in lui era stata ardente come non mai! Si ricordò dell'uccello che allora aveva riso e dell'albero con la luna e il sole; lo prese il sospetto che allora avesse perso, avesse dimenticato qualcosa, e che il consiglio del serpente non era stato buono. La fanciulla udì un fruscio tra le foglie dell'albero Pictor, alzò lo sguardo e sentì, con un improvviso dolore al cuore, nuovi pensieri, nuovi desideri, nuovi sogni muoversi dentro di lei. Attratta dalla forza sconosciuta si sedette sotto l'albero. Esso le appariva solitario, solitario e triste, e in questo bello, commovente e nobile nella sua muta tristezza; era incantata dalla canzone che sussurrava lieve la sua chioma. Si appoggiò al suo tronco ruvido, sentì l'albero rabbrividire profondamente, sentì lo stesso brivido nel proprio cuore. Il suo cuore era stranamente dolente, nel cielo della sua anima scorrevano nuvole, dai suoi occhi cadevano lentamente pesanti lacrime. Cosa stava succedendo? Perché doveva soffrire così? Perché il suo cuore voleva spaccare il petto e andare a fondersi con lui, con esso, con il bel solitario?
L'albero tremò silenzioso fin nelle radici, tanto intensamente raccoglieva in sé ogni forza vitale, proteso verso la fanciulla, in un ardente desiderio di unione. Ohimé, perché si era lasciato raggirare dal serpente per essere confinato così, per sempre, solo in un albero! Oh, come era stato cieco, come era stato stolto! Davvero allora sapeva così poco, davvero allora sapeva così poco, davvero era stato così lontano dal segreto della vita? No, anche allora l'aveva oscuramente sentito e presagito, ohimé! E con dolore e profonda comprensione pensò ora all'albero che era fatto di uomo e di donna! Venne volando un uccello, rosso e verde era l'uccello, ardito e bello , mentre descriveva nel cielo un anello. La fanciulla lo vide volare, vide cadere dal suo becco qualcosa che brillò rosso come sangue, rosso come brace, e cadde tra le verdi piante, splendette di tanta familiarità tra le verdi piante, il richiamo squillante della sua rossa luce era tanto intenso, che la fanciulla si chinò e sollevò quel rossore. Ed ecco che era un cristallo, un rubino, ed intorno ad esso non vi può essere oscurità.
Non appena la fanciulla ebbe preso la pietra fatata nella sua mano bianca, immediatamente si avverò il sogno che le aveva riempito il cuore. La bella fu presa, svanì e divenne tutt'uno con l'albero, si affacciò dal suo tronco come un robusto giovane ramo che rapido si innalzò verso di lui. Ora tutto era a posto, il mondo era in ordine, solo ora era stato trovato il paradiso,
Pictor non era più un vecchio albero intristito, ora cantava forte Pictoria. Vittoria. Era trasformato. E poiché questa volta aveva raggiunto la vera, l'eterna trasformazione, perché da una metà era diventato un tutto, da quell'istante poté continuare a trasformarsi, tanto quanto voleva. Incessantemente il flusso fatato del divenire scorreva nelle sue vene, perennemente partecipava della creazione risorgente ad ogni ora.
Divenne capriolo, divenne pesce, divenne uomo e serpente, nuvola e uccello. In ogni forma però era intero, era un "coppia", aveva in sé luna e sole, uomo e donna, scorreva come fiume gemello per le terre, stava come stella doppia in cielo."