sabato 23 agosto 2008


Gli alberi di casa di Paolo Rumiz

Riceviamo da Marco Pacchierotti questo bellissimo passaggio dalla Puntata n° 13 del viaggio-reportage di Paolo Rumiz che Repubblica sta pubblicando a puntate quotidiane, chiamato "L'Europa Verticale": un viaggio "verticale" da Nord a Sud lungo il nuovo confine che divide la UE dalle Nazioni confinanti nel quale si parla di "alberi che riportano a casa"

Paolo Rumiz

"Corriamo con gli zaini verso il bus che ha già il motore acceso, chiediamo all'autista di andare a Narva, la prima città sulla frontiera. Un posto formidabile, ci hanno detto, con una fortezza svedese e una russa di Ivan il Terribile che si fronteggiano sul fiume, e la strada che buca la frontiera attraverso le mura merlate. L'ingresso più scenografico che ci sia nella federazione stellata. "Narva?" si meraviglia il bigliettaio. "Nessuno scende a Narva. Non saprei nemmeno dire quanto farvi pagare". Dentro il bus ci sono dieci-dodici donne assopite e due bambini. I finestrini sono rigati di pioggia. "Facciamo cinquecento rubli". E si va in un cielo grigio, già protestante, berlinese, anseatico, verso le durezze ugrofinniche e le dieresi vocaliche del Centro Europa, lungo spazi piallati dal vento e dalle Blitzkrieg. Terra perfetta per generali e grandi manovre. Nella pioggia persino le chiese ortodosse perdono la forza bizantina e assumono la mistica verticalità degli abeti. All'ultimo paese russo decidiamo di scendere e proseguire a piedi. Se i due check-point sono vicini come pare, passare così è il modo migliore per evitare code. E difatti il ponte sul Narva ha una corsia per soli pedoni, i quali, sul lato estone, hanno un ingresso solo per loro. Arranchiamo da un castello all'altro, in compagnia di ciclisti e anziane donne con borse, ragazzi in blouson noir, avventurosi globe-trotter e strani tipi senza bagaglio con sigaretta accesa e mani in tasca. Il ritorno in "Europa" è superbo, il Narva di un color verde pieno spumeggia verso il Baltico, sulle torri del forte svedese urlano i gabbiani. "Passaporto, prego". La polizia estone è sussiegosa e vagamente irritante come quella slovena - i neopromossi nell'Ue sono i più zelanti nell'applicare le regole del club - ma a sorpresa, oltre il posto di controllo, la città è ancora Russia. Cerco di dire due penosi monosillabi in estone, ma i passanti sorridono, dicono "Don't understand", e così scopro che in tutta l'Estonia orientale il russo resta lingua franca, per via dei tanti ex "sovietici" rimasti sul Baltico. Sulle due sponde sento le stesse musiche slave e sotto il ponte i pescatori del lato ovest e quelli della riva est rischiano di imbrogliare le lenze se fanno lanci troppo lunghi. La luce nitida, rivierasca, porta a Lubecca e Travemunde, ma l'architettura del ponte fortificato richiama la Bosnia di Visegrad nel romanzo di Ivo Andric, "Il ponte sulla Drina". Ormai è Centro Europa. I corvi, grandi e neri, sono gli stessi delle pianure polacche e dei Balcani. Vediamo la prima cicogna, il primo tiglio, la prima quercia e il primo ippocastano. Ma mentre i segni della modernità tecnologica occidentale mi irritano, l'incontro con gli alberi di casa mi apre il cuore.

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http://www.repubblica.it/2008/08/speciale/altri/2008rumiz/rumiz-13/rumiz-13.html

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