Buon Compleanno Italia,
dalla parte degli alberi!
Giovanni Pascoli. San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912Partecipiamo ai festeggiamenti per il 150° Anniversario dell'Unità d'Italia e al ricordo della data storica del 17 Marzo 1861, con l'ode di Giovanni Pascoli "Al corbezzolo". Una poesia dedicata all'Arbutus unedo, il corbezzolo, l'albero tipico della flora mediterranea che per la sua caratteristica di portare contemporaneamente: fiori bianchi, frutti rossi e foglie verdi e quindi gli stessi della bandiera italiana potrebbe essere (anche nel caso di un prossimo concorso , che stiamo proponendo da diverso tempo su queste pagine, per eleggere l'albero che rappresenta l'Italia) l'albero italico per eccellenza. Nel 2011, l' Anno internazionale delle Foreste facciamo gli auguri quindi alla nostra nazione e ai suoi 12 miliardi gli alberi che ne costituiscono il polmone verde (un dato questo riportato dall'ultimo Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio realizzato dal Corpo Forestale dello Stato con il coordinamento scientifico del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e in collaborazione con il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) per una festa italiana che sia anche "dalla parte degli alberi".
Al corbezzolo
O tu che, quando a un alito del cielo
i pruni e i bronchi aprono il boccio tutti,
tu no, già porti, dalla neve e il gelo
salvi, i tuoi frutti;
e ti dà gioia e ti dà forza al volo
verso la vita ciò che altrui le toglie,
ché metti i fiori quando ogni altro al suolo
getta le foglie;
i bianchi fiori metti quando rosse
hai già le bacche, e ricominci eterno,
quasi per gli altri ma per te non fosse
l’ozio del verno;
o verde albero italico, il tuo maggio
è nella bruma: s’anche tutto muora,
tu il giovanile gonfalon selvaggio
spieghi alla bora:
il gonfalone che dal lido estrusco
inalberavi e per i monti enotri,
sui sacri fonti, onde gemea tra il musco
l’acqua negli otri,
mentre sul poggio i vecchi deiformi
stavano, immersi nel silenzio e torvi
guardando in cielo roteare stormi
neri di corvi.
Pendeva un grave gracidar su capi
d’auguri assòrti, e presso l’acque intenta
era al sussurro musico dell’api
qualche Carmenta;
ché allor chiamavi come ancor richiami,
alle tue rosse fragole ed ai bianchi
tuoi fiori, i corvi, a un tempo, e l’api:
sciami,
àlbatro, e branchi.
Gente raminga sorveniva, e guerra
era con loro; si sentian mugliare
corni di truce bufalo da terra,
conche dal mare
concave, piene d’iride e del vento
della fortuna. Al lido navi nere
volgean gli aplustri con d’opaco argento
grandi Chimere; che avean portato al sacro fiume ignoto
un errabondo popolo nettunio
dalla città vanita su nel vuoto
d’un plenilunio.
Le donne, nuove a quei silvestri luoghi,
ora sciogliean le lunghe chiome e il
pianto
spesso intonato intorno ad alti roghi
lungo lo Xanto;
ed i lor maschi voi mietean di spada,
àlbatri verdi, e rami e ceree polle
tesseano a farne un fresco di rugiada
feretro molle,
su cui deporre un eroe morto, un fiore,
tra i fiori; e mille, eletti nelle squadre,
lo radduceano ad un buon re pastore,
vecchio, suo padre.
Ed ecco, ai colli giunsero sul grande
Tevere, e il loro calpestìo vicino
fugò cignali che frangean le ghiande
su l’Aventino;
ed ululò dal Pallantèo la coppia
dei fidi cani, a piè della capanna
regia, coperta il culmine di stoppia
bruna e di canna;
e il regio armento sparso tra i cespugli
d’erbe palustri col suo fulvo toro
subitamente risalia con mugli
lunghi dal Foro;
e là, sul monte cui temean le genti
per lampi e voci e per auguste larve,
alta una nera, ad esplorar gli eventi,
aquila apparve.
Volgean la testa al feretro le vacche,
verde, che al morto su la fronte i fiocchi
ponea dei fiori candidi, e le bacche
rosse su gli occhi.
Il tricolore!… E il vecchio Fauno irsuto
del Palatino lo chiamava a nome,
alto piangendo, il primo eroe caduto
delle tre Rome.
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